Gabriele Genovese, 34 anni (35 il prossimo 26 novembre), è nato a Venaria Reale, in Piemonte. Laureato in Management dell’Informazione e Comunicazione Aziendale, ha ampliato la propria formazione con corsi privati di Digital Marketing, unendo competenze manageriali e una profonda sensibilità umana.
Oggi Gabriele lavora nel mondo dell’innovazione digitale e della creazione di community, portando avanti un approccio autentico che mette le persone al centro. La sua filosofia? Non costruire una community, ma attrarre chi condivide gli stessi valori — perché la fiducia nasce solo quando si impara a darla per primi.
Gabriele, credi davvero che la sensibilità potrà cambiare il mondo? In che modo il tuo percorso personale ti ha portato a questa convinzione?
«Assolutamente sì! Sono sempre stato un bambino “particolare”, molto sensibile. E puoi capire meglio di me, Gloria, che crescere in una società, in un ambiente dove la sensibilità non è mai stata valorizzata (anzi, spesso e volentieri è considerata una forma di debolezza) non è stato affatto semplice. Ho sempre indossato una sorta di “maschera” per riuscire ad adattarmi, per celare il vero Gabriele, per riuscire a sopportare tutto il peso che costantemente mi opprimeva.
La sensibilità può e deve cambiare il mondo… Le persone sensibili hanno tutte le potenzialità per farlo: proprio perché percepiscono tutto più a fondo sono in grado di diventare delle preziosissime guide per l’umanità. Dobbiamo essere d’esempio perché, come dico sempre, “anche il più piccolo granello di sabbia può cambiare il corso di un intero fiume!”»
La definizione di Persona Altamente Sensibile è ancora poco conosciuta, soprattutto tra bambini e adolescenti. Come possiamo rendere la scuola e la società luoghi più accoglienti per chi vive le emozioni con maggiore intensità?
«Sicuramente è necessario mettere in atto un profondo cambiamento, soprattutto per quanto riguarda il sistema scolastico, che al giorno d’oggi dà priorità alle materie accademiche (trascurando l’educazione emotiva e sociale), all’atteggiamento esteriore, non tiene conto né delle influenze esterne (come quelle familiari) né delle difficoltà individuali.
Tutto ciò può sfociare in bullismo (che ho vissuto in prima persona), isolamento, depressione e problemi relazionali. Dobbiamo cercare di ascoltare attivamente i giovani, dare la giusta importanza a tutto quel lato emotivo ed empatico che al momento non è preso minimamente in considerazione.
Per farlo però dobbiamo iniziare a trovare un punto di contatto con i nostri studenti: comprendere ed utilizzare il loro linguaggio, insegnare l’empatia attraverso attività pratiche, dare consapevolezza, promuovere la gratitudine, la gentilezza, insegnare il valore dell’altro e fare un’attenta selezione riguardo alla figura dell’insegnante (insegnanti empatici).»
Se potessi lasciare un messaggio ai giovani che si sentono “troppo sensibili” o fuori posto, quale sarebbe il consiglio che avresti voluto ricevere tu?
«“Non sei sbagliato” è ciò che avrei voluto sentirmi dire da bambino. Il fatto è che non c’è nulla di sbagliato nel sentire troppo, nel voler ricercare la solitudine per ricaricare le proprie batterie, nell’immedesimarsi a tal punto nelle altre persone da non riuscire più a distinguere quali sono i propri sentimenti rispetto a quelli degli altri.
Sbagliato è invece non cercare di valorizzare la propria sensibilità, ciò che la società ha sempre considerato “diverso”. Se c’è un consiglio che posso e che voglio dare ai giovani (in base alla mia brevissima esperienza di vita) è che dobbiamo sempre cercare di essere la versione migliore di noi stessi, abbandonare qualsiasi tipo di maschera e, soprattutto, dobbiamo riuscire a fare della nostra sensibilità un grandissimo punto di forza.
A prescindere dai giudizi delle persone, abbiamo una forza interiore mastodontica… dobbiamo solamente riscoprirla!»
Grazie Gabriele
Gloria Chiocci