Di cosa si occupa un responsabile di progetto e research di uno studio che si dedica alla user experience? Per scoprirlo sono andata nel prestigioso Barrio Salamanca di Madrid per intervistare Maria Renilla di Redbility.
Maria qual è il tuo ruolo attuale?
«Attualmente in Redbility sono la capo responsabile del dipartimento di progettazione e ricerca; la mia è un’impresa che si trova a Madrid e si occupa di consulenza digitale. Siamo specializzati in user experience design e visual. Principalmente ci occupiamo di innovazione e consulenza strategica di prodotti e servizi.
Al centro di ogni nostro progetto c’è l’utente, che è sempre il protagonista indiscusso. Solo una volta che abbiamo delineato le caratteristiche e le necessità dell’utente iniziamo a progettare il nostro prodotto digitale e iniziamo a scegliere gli strumenti tecnologici e metodologici con cui lavorare. All’interno della nostra impresa non sono presenti tecnologie in house, questo perché crediamo che possederle ci limiti nel momento della scelta applicativa; così facendo possiamo restare totalmente imparziali al momento della scelta.
Questo è il mio lavoro attuale, sono anche Professoressa in diverse università e tutor in altrettante scuole di formazione qui in Spagna. Nonostante i miei lavori, continuo a ricercare e sviluppare la mai tesi di Dottorato sull’autismo e l’interazione tecnologica.
Il mio percorso di studio è un po’ particolare, infatti sono ingegnere informatico e psico-pedagogista. Sono fortemente legata ad ognuna di queste due aree, proprio per questo credo che continuare a sviluppare e studiare il tema della mia tesi di dottorato mi permetta di tenermi in costante aggiornamento.»
Come sei arrivata a diventare responsabile di progetto e ricerca?
«Ho scoperto l’user experience un po’ per caso, durante un corso a scelta all’università. In quegli anni ancora non se ne parlava e non esisteva, per lo meno qui in Spagna, l’user experience come materia in sé. Era il periodo in cui si iniziava a parlare di accessibilità web, di usabilità ma ancora non di user experience.
Scelsi questa materia un po’ per curiosità e ne uscii completamente innamorata. Mi ricordo che rimasi colpita dalla centralità che si dava all’utente all’interno di una progettazione digitale o da come si doveva progettare un’informazione, che doveva essere semplice e immediata. Da quell’esatto momento iniziò la mai carriera, completamente incentrata sull’esperienza dell’utente. Sviluppai il tema anche nella tesi di laurea e nella tesi di dottorato, come accennavo poc’anzi.
Dopo il dottorato arrivai a Madrid per lavorare, iniziai con un primo incarico lavorando in un’impresa che si occupava di prodotti e servizi per il settore bancario, dopo di che cambiai e passai a una startup che si occupava di comunicazione digitale, in questo contesto iniziai a prendere confidenza con la parte burocratica di un’impresa: io sapevo progettare ma mai fino a quel momento mi ero posta il problema della burocrazia, delle fatture e dei bilanci. Dopo qualche tempo cambiai nuovamente impresa e iniziai a lavorare prima per una e poi per un’altra, fino ad arrivare a Redbility cinque anni fa.»
Come sei arrivata a lavorare per Redbility?
«Anche in questo caso un po’ per caso, ho conosciuto Redbility cinque anni fa durante l’UX Spain, c’è stato un apprezzamento vicendevole e da quel momento sono parte del team.»
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
«Amo il mio lavoro, amo quello che faccio e mi piace poter apprendere cose nuove da ogni progetto. Perché la teoria e le tecniche si devono conoscere, ma poi ogni progetto richiede che vengano adattate – perché non c’è un progetto uguale all’altro – devi sempre metterti in gioco trovando e sperimentando tecniche differenti. Un giorno devi lavorare per un e-commerce di vino, l’altro a un progetto per la vendita di cioccolato o vestiti e un altro semplicemente devi svolgere dei test con gli utenti su di un prodotto bancario o assicurativo. È proprio questa varietà che mi fa amare il mio lavoro.
Un altro aspetto che mi piace molto del mio lavoro è che ho molta libertà. Ogni volta che inizio un progetto cerco di metterci del mio innovando qualcosa, in particolar modo la metodologia che andrò a usare.
Continuamente escono nuove metodologie sia nell’ambito di neuromarketing o research o semplicemente di tecnica. Io sono solita provarle tutte e solo in seguito scelgo e utilizzo quelle che preferisco. Anche nell’ambito metodologico sono solita unire tecniche tradizionali d’indagine con tecniche più avanzate e innovative.
Infatti all’interno del mio ufficio ho un laboratorio dove posso sperimentare le nuove tecniche. Dispongo di: eye tracking, biosensori e un sistema di registrazione che mi permette di registrare i test per poi utilizzarli nella fase d’analisi. Ho anche un grande spazio che mi permette di tenere workshop e corsi, sono piccole cose ma che facilitano il mio lavoro e mi permettono di sperimentare sempre cose nuove.
Ogni volta che ideo qualcosa mi piace confrontarmi con i miei colleghi e ricevere un loro feedback: “Cosa ne pensate?” ,“Come lo migliorereste?” Il loro parere tecnico è molto importante, in quanto poi saranno loro a sviluppare a livello tecnologico e visuale l’intero progetto. Ideare insieme e confrontarsi sono la strategia perfetta per ottenere il meglio da ogni progetto.»
Sei ingegnere informatico e psico-pedagogista: da dove proviene questo connubio?
«Se devo essere sincera non so come sono arrivata a combinare ingegneria e psico-pedagogia. Da sempre mi affascinano l’insegnamento e la ricerca: provengo da una famiglia di professori e il mio sogno fin da piccola era quello di diventare professoressa di fisica o matematica, lo avevo chiarissimo. Anche la tecnologia mi riusciva molto bene, sicuramente avere da tutta la vita il computer in casa ha influito in questo.
Arrivata al momento della scelta dell’Università i miei iniziarono a domandarmi: “Maria perché non ti specializzi in qualcosa di più all’avanguardia? Sei brava con le nuove tecnologie.” Iniziai a guardarmi intorno e l’unica università di telecomunicazioni che mi piaceva tantissimo si trovava a Valencia. Mia madre si oppose, perché Valencia era distante da casa e io ero ancora troppo giovane per allontanarmi. E così mi immatricolai a ingegneria informatica all’Università di Salamanca – vicino a casa – e già dal primo trimestre ottenni il massimo dei voti in tutte le materie e mi resi conto che mi avanzava tantissimo tempo, forse perché le materie erano molto pratiche e studiare non mi pesava.
Da lì pensai: “se mi avanza tutto questo tempo potrei impiegarlo per un’altra laurea utile per l’insegnamento” e decisi di immatricolarmi contemporaneamente anche a psico-pedagogia pensando che se un giorno avessi voluto insegnare – unendo le nuove tecnologie allo studio del cervello – questa era la strada più affascinante per me.
Oltre ai meccanismi che regolano il cervello, iniziai a studiare come il cervello si orienta nell’apprendimento e iniziai a intersecare – nei miei studi e nei miei progetti di ricerca – sia l’ingegneria che la psico-pedagogia.
A oggi, nel mio lavoro utilizzo il 70% delle conoscenze ricevute a psico-pedagogia e il 30% di quelle acquisite a ingegneria informatica e questo mi permette di guardare la tecnologia da un altro punto di vista.»
Usabilità e mercato possono convivere?
«Sono due variabili da tener sempre in conto, in quanto l’utente necessita che un prodotto sia usabile e soddisfi le sue esigenze, ma d’altro canto se un prodotto non soddisfa le esigenze di mercato e del negozio e non genera profitti, l’intero progetto realizzato sarà un fallimento. Sono due variabili da tener sempre in conto. Allo stesso modo si devono tener in conto anche tutte le possibilità e le opzioni offerte dalla tecnologia. L’ideale sarebbe quello di riuscire a unire queste tre aree per ottenere la combinazione perfetta.
Per conoscere quali possibilità e quali novità ti offre la tecnologia devi stare continuamente al passo con i tempi leggendo e informandoti, ma anche andare a conferenze e “riciclarti” sempre.»
Come si inizia la carriera da researcher?
«Ci sono molte imprese che offrono formazione specializzata – che molto spesso è puramente teoria e non presenta una parte pratica – che realmente ti insegni a lavorare. Spesso infatti non sono professionisti del settore a impartire le lezioni, ma accademici – il problema in questo caso è una formazione puramente ed esclusivamente teorica – chi non è professionista del settore non sa come quotidianamente si affrontano determinante situazioni in termini di impresa.
Va anche detto che ci sono imprese che già ti formano a lavorare e ti permettono di vedere e “toccare con mano” il mondo del lavoro. Nella fase iniziale del lavoro devi valutare bene queste due opzioni.
Se già sai il settore in cui ti vuoi specializzare, focalizzati su una formazione molto specifica e allo stesso tempo pratica, se invece già la possiedi inizia a poco a poco a entrare in azienda procedendo a piccoli passi. User experience e research per me sono due ambiti che devono sempre andare di pari passo – senza mai separarsi – se apprendi bene puoi iniziare a candidarti come junior – essendo la prima esperienza lavorativa e a poco a poco avanzare. Se poi vedi che ti piace anche relazionarti con il cliente o pianificare, potrai specializzarti anche in gestione di progetto e anche lì piano piano si può arrivare fino a diventare capo progetto e da quel momento potrai già dirigere un tuo team.
Per me la prima fase di progetto, che è quella di research e di concettualizzazione, è sia la più affascinante che la più difficile da svolgere; in questa fase devi individuare cosa desidera il committente ma anche le esigenze dell’utente che usufruirà del servizio digitale. In questa fase si devono analizzare le tendenze, i dati, e le statistiche perché – che pur si dica – è un lavoro che si centra sull’analisi di dati – è fondamentale capirli e analizzarli – e prendere decisioni consone e appropriate sia per l’utente che per il negozio, sapendo ben ponderare il peso e le strategie per arrivare a un accordo. Quando capisci cosa il cliente desidera, crea sempre due o tre alternative di progetto, poi in seguito sceglierà lui, ma non ti presentare mai con un’unica alternativa, cosa importante scegli delle alternative che ti piacciano, perché tu sei il primo giudice.»
Consiglio per diventare un bravo researcher?
«Trova il senso comune dei tuoi progetti, dai valore ai dati, qualsiasi affermazione fai deve essere valida e nessuno deve potertela smontare. Ma soprattutto adatta ogni progetto alla metodologia che necessita – perché ogni progetto è unico – e non tutto si fa allo stesso modo e ricordati di “riciclarti” sempre.»
Grazie Maria.
@GloriaChiocci