Dal conservatorio a User Experience Designer di Amazon – la storia di Pedram Vahabi

Qualche settimana fa durante il mio Erasmus Traineeship a Madrid – un pò per caso, un pò per fortuna – ho avuto modo di conoscere Pedram Vahabi, uno degli User Experience Designer di Amazon.

Pedram è italiano con origini persiane, a soli 28 anni ha una di quelle carriere e storie che fa piacere ascoltare e raccontare. Data la tesi che stavo scrivendo e l’interesse verso l’user experience ho chiesto, senza troppi peli sulla lingua, se potevo intervistarlo e con la semplicità che spesso solo i grandi hanno, ha accettato. Il risultato è stata una lunga intervista che oggi orgogliosamente vi presento.

Pedram come è iniziata la tua carriera?

«Ho una carriera molto lunga rispetto alla mia età, infatti una parte di essa è iniziata quando studiavo alle superiori. Lo stimolo di base, sia per me che per i miei due fratelli, proviene da mio padre che ci ha da sempre incoraggiati a studiare e conoscere. Attualmente sia io che i miei fratelli lavoriamo fuori dall’Italia, in ambiti molto distinti; io sono user experience designer, mio fratello PhD in ingegneria informatica e Lecturer a Berkeley e mia sorella PhD in chimica e tecnologie farmaceutiche.

Nel 1996 quando avevo 7 anni, mio padre ci comperò uno dei primi computer e un cellulare – e per essere in Italia, in quegli anni, eravamo già molto fortunati – infatti non era ancora molto comune e diffuso avere queste tecnologie in casa. Nel 2000 il desiderio di mio fratello era quello di progettare e costruire siti internet, ma dato che per internet si utilizzava ancora una lentissima connessione e visto il costo proibitivo dei domini, in quel momento non potevamo sostenere i costi.  Man mano che il tempo passava, i più fortunati che possedevano un dominio iniziarono a guadagnare ingenti somme di denaro, in quanto internet stava diventando il nuovo canale di comunicazione. Questo ha stimolato e incrementato ancora di più la nostra curiosità e il nostro interesse verso le tecnologie.»

Ufficialmente quando avete iniziato a costruire siti internet?

«Quando avevo 16 anni, mio fratello già studiava Ingegneria informatica all’Università di Modena e tra una cosa e l’altra, considerando anche il fatto che il prezzo dei domini era notevolmente sceso, abbiamo deciso di aprire il nostro primo sito internet di didattica per gli universitari: un posto dove tutti gli studenti universitari potevano trovare documenti, test e tutto quello che occorreva per lo studio. In quel momento io stavo frequentando un Liceo Scientifico Tecnologico – Brocca, che affiancava alle tradizionali materie, classi di HTML, CSS, informatica e laboratori. All’epoca erano pochissimi i licei in Italia ad averlo e ho sfruttato l’occasione per studiare bene queste materie – infatti erano le uniche in cui prendevo 10 nonostante in tutte le altre non spiccassi particolarmente.

Grazie alla scuola ho potuto apprendere bene il CSS e con questo assieme a mio fratello passavamo i pomeriggi e le sere a lavorare al nostro primo sito internet, per cui io mi occupavo di grafica e lui di programmazione. Fu così che prese forma il nostro primo sito web che a poco a poco acquisì notorietà, inizialmente tra gli amici e in poco tempo, quando la voce iniziò a girare, molti studenti iniziavano a utilizzarlo perché conteneva tanti documenti e informazioni utili per lo studio. Visto il successo decidemmo di ampliarlo, inserendo delle nuove sessioni come quella dei giochi e del meteo, che nel 2005 era una formula che andava molto.»

Dopo quel primo progetto?

«Da quel primo progetto, io e mio fratello iniziammo a realizzarne tanti altri assieme, e tra tutti il più grande fu una piattaforma video. Non so dirti perché ma da un certo punto in poi iniziò a diventare celebre, difatti arrivammo a raggiungere trecentomila visite al giorno e iniziammo a generare i primi guadagni.

Io ero ancora alle superiori e frequentavo il conservatorio e mio fratello all’università – il tempo a nostra disposizione era veramente poco e fu così che negli anni, malgrado continuassimo a gestirlo, è giunto al fallimento. Questo è successo anche perché eravamo in Italia – se fossimo stati in America avremmo rischiato lasciando tutto quello che avevamo – ma la paura di rischiare in Italia ci ha portato a fallire, cosa che adesso non farei più non avendo più paura di rischiare, al contrario di prima.»

Dopo il liceo, quale percorso universitario hai scelto?

Arrivato all’università mi iscrissi a telecomunicazioni e elettronica e poi cambiai per ingegneria informatica, continuando anche gli studi al conservatorio e seguendo con mio fratello altri piccoli progetti. Tra i tanti, un social blogging Platform (Microblr) per cui ricevemmo anche un contributo in Italia – piccolino ma buono – che ci ha permesso di andare avanti per un po’, ma che giunse poco a poco al fallimento a causa dei nostri impegni legati allo studio. Di lì a poco lasciai pure l’università ma continuai il conservatorio fino a diplomarmi.»

Quando è iniziata ufficialmente la tua carriera lavorativa?

«La mia carriera è iniziata ufficialmente attorno al 2011, anche se ottenevo dei guadagni già dal 2007. Iniziai a studiare e specializzarmi sempre di più, collaborando saltuariamente come freelancer per un’agenzia di Modena. È proprio nel 2011 che iniziai ad avvicinarmi all’User Experience, anche se ancora il concetto non era molto diffuso e conosciuto in Italia.»

Come ti sei avvicinato all’User Experience?

«Leggendo molto su internet, anche se con difficoltà vista la mia carenza in inglese, lingua che allora non conoscevo molto bene. L’inglese è fondamentale in questo periodo in quanto internet arriva proprio dagli Stati Uniti – come tutta la tecnologia – e non conoscere questa lingua penalizza molto. Me ne sono reso conto quando ho iniziato realmente la mia carriera lavorativa.

In Italia ero ancora piccolo, mi informavo, sentivo ma ancora non capivo; chiedevo ai miei mentor nelle agenzie ma ancora neppure loro capivano bene, perché seguivano un modello classico di agenzia comunicativa all’italiana.

Finita la collaborazione con la prima agenzia, iniziai a lavorare in una nuova agenzia (Piweek & co) con una visione molto più ampia rispetto alla prima; già si occupavano di research, interaction e experience e all’interno di quel contesto ho appreso moltissimo e proprio lì ho guidato il mio primo team di progetto. Il team era composto da tre user experience designer e un research. L’agenzia dopo qualche tempo decise di chiudere a Modena per trasferirsi definitivamente a Londra.»

Quando ti sei spostato all’estero per la prima volta?

«Dopo la chiusura dell’agenzia ho deciso di iniziare a guardarmi attorno e tre anni fa mi sono spostato pure io a Londra. C’erano tantissime startups a Berlino o a Barcellona ma ancora di più a Londra. L’Inghilterra in quel momento era quello che desideravo, anche se continuavo a guardare le opportunità un po’ in tutta Europa. Sono arrivato a Londra con una proposta di lavoro per un’impresa Fintech (Ebury). Una volta arrivato iniziai fin da subito a immergermi nella lingua e nelle community di design e UX. A Londra ci sono tantissime aziende che cercano user experience designers.

All’incirca dopo un anno e mezzo, in cui avevo appreso la lingua e mi ero creato una rete di contatti, decisi di cambiare compagnia. Andai a lavorare per un incubatore di start up (Founders Factory) che stava cercando un digital product designer, l’obiettivo di questo incubatore era, ed è, quello di lanciare 200 nuove imprese all’anno. Il mio ruolo al suo interno era quello di capire quali fossero le problematiche di un settore e una volta individuato e capito il problema, il mio compito era quello di risolverlo attraverso la creazione di un prodotto che in soli sei mesi andava testato, lanciato e si doveva verificare l’andamento sul mercato. In questo contesto collaborai con grandi e grandissimi marchi come L’Orèal, Easyjet, The Guardian e molti altri.

Come sei arrivato ad Amazon?

«Da quel momento mi sentivo pronto per lavorare in una grande compagnia. Iniziai a candidarmi per grandi nomi, fino ad arrivare al punto che avevo due proposte una da Amazon e una da Google. Dico questo perché spesso le persone non ci credono, non ci puoi credere se non ci provi! È quello che a me è successo.

Le persone spesso si spaventano e non si buttano, sono molto insicure e non rischiano. Il design, a differenza di molti altri percorsi non ha un’unica via da seguire. Non sai cosa sia buono o meno e spesso non c’è un mentor da seguire e questo porta a domandarsi frequentemente:“Ma sono bravo?” è tua responsabilità come designer metterti in gioco e confrontarti con altri designers molto più bravi di te, perché ci sono così tanti talenti in giro che nemmeno ci si può immaginare. Confrontarsi con altri designers serve per capire qual è il proprio livello e aiuta a migliorarsi.

Confrontandosi si comincia a crescere e quando ci si sente maturi si può provare con le grandi aziende e, contrariamente a quello che si dice, non è vero che nelle grandi aziende vai a curare un solo dettaglio, ti danno tantissima responsabilità. Amazon ad esempio è da sempre un customer obsessed company e il design è sempre first

Perché hai scelto Amazon piuttosto che Google?

«Ho deciso di scegliere Amazon rispetto a Google perché per me Amazon negli ultimi anni sta procedendo in termini di innovazione a grandi passi. Mi è piaciuto il team con cui stavo parlando – è importante anche capire con chi sarei andato in seguito a lavorare – e il progetto che avrei seguito. Il tutto mi ha convinto, in più la Spagna era un’ottima possibilità per cambiare ambiente e apprendere una nuova lingua; e per questo da Londra ho deciso di spostarmi qui a Madrid. Sono felicissimo dell’ambiente che ho trovato.

Come si lavora in Amazon?

«In Amazon il design è first, come dicevo, e il designer è il primo ad essere consultato. Cosa facciamo quando c’è un problema? Per prima cosa guardiamo i dati e le statistiche, intervistiamo i customers e da lì individuiamo potenziali problemi. Una volta individuati i problemi andiamo a disegnare potenziali soluzioni. Disegniamo uno schizzo veloce e se l’idea piace iniziamo a creare una prima versione, poi la testiamo e se non funziona si ricomincia fino a trovare la soluzione vincente.

In Amazon ti danno responsabilità, sei owner del tuo progetto e una cosa molto importante è che se il designer dice qualcosa tutti gli altri lo devono ascoltare, ad esempio se il designer dice che un’interfaccia non è customer first o customer experience focused, nessuno deve metterla online. All’interno di Amazon siamo tutti allo stesso livello e ognuno ha il suo ruolo: il compito dell’ingegnere è quello di fare sì che tecnologicamente tutto funzioni, il product manager è incaricato di verificare che il progetto abbia costi di realizzazione che rientrino nel budget e nel tempo stabilito, ed io, il designer, devo assicurarmi che il prodotto sia per l’utente, sono l’unico canale di comunicazione tra l’utente e il prodotto.»

Un consiglio a chi si sta avvicinando alla User Experience?

«Un consiglio che do ai giovani come te, è di non accontentarsi della prima azienda che trovi, ci sono tantissime compagnie che non sono mature sotto il punto di vista del design o non conoscono il valore del design. Lavorare in queste compagnie ti fa sentire un designer insoddisfatto e non apprezzato, è tua responsabilità capire quale azienda mette il customer first e da lì scegliere con chi lavorare. Anche tu come designer ti devi sempre porre la domanda: “ma questa compagnia è giusta per me?” e se la risposta è “no, non è giusta per me” non venderti – anche se non hai soldi, non venderti – fino a quando non troverai quella giusta.»

Come si inizia a lavorare come UX?

«Bisogna essere giovani appassionati di tecnologia – cosa che oramai è molto comune e diffusa all’interno della nuova generazione: il che è una cosa positiva perché significa che anche le aziende iniziano a muoversi ed interessarsi di più a questo settore, con conseguente aumento  dell’offerta formativa,  dei percorsi di studio e carriera definiti, cose che non esistevano quando ho intrapreso il percorso universitario.

Un altro suggerimento che posso dare: se sei alle prime armi e desideri iniziare a lavorare come UX è quello di andare assolutamente a seguire un primo corso, che ti servirà per le prime basi; ma soprattutto se non sai l’inglese apprendilo, in questo settore è fondamentale, per leggere, comunicare ed entrare in contatto con le comunità più grandi che si trovano a Londra, New York, San Francisco, solo per citarne alcune.

Se apprendi bene l’inglese o lo sai già, non ti chiudere le porte e non limitarti a una formazione esclusivamente italiana – perché qui lo dico e qui lo  nego – in questo momento ti daresti da solo la zappa sui piedi.

Io adoro l’Italia, due dei miei più grandi sogni sono: aprire scuole che offrano una formazione competitiva a livello internazionale nei campi come la UX design, Interaction design, UX research e collaborare con il Governo Italiano per un piano di Digital Transformation.

Io ho già in mente la mia carriera, so che tornerò in Italia; perché in Italia ci sono tantissimi talenti ma poca formazione, per questo moltissimi giovani come me devono trovare delle strade alternative altrove. Il mio desiderio è anche quello di tornare per dare una mano alle nuove generazioni a sviluppare il loro progetto digitale in Italia senza doversene andare.

Se vuoi apprendere ti consiglio anche di leggere molti articoli sul web, collegarti e seguire le comunità sui vari social e guardare video online, è pur sempre formazione gratuita. Se dopo questo primissimo step vuoi apprendere ancora di più fai un corso e se dopo il corso vuoi apprendere ancora di più, puoi seguire corsi di altissimo livello offerti dalla Nielsen Norman Group a Londra. E se non sei ancora soddisfatto e vuoi saperne ancora di più entra a lavorare in un’azienda, perché solo così ti puoi mettere davvero in gioco, quindi inizia a lavorare ma ricordati di non accontentarti mai.»

Cosa deve conoscere un bravo UX?

«In generale un bravo UX non ha bisogno di altri tool che non siano un foglio e una matita. Il tutto inizia da un problema e tu da bravo designer devi essere in grado di risolverlo diventando anche un bravo investigatore. Ogni volta che qualcuno ti pone un problema tu chiedigli 5 volte perché non riesce a farlo e vedrai che solo dopo il quinto motivo troverai il vero problema, che sta sempre sotto la superficie e non sopra.

Un bravo UX deve avere ottime capacità di comprensione e ascolto delle persone. Infatti un bravo UX non resta mai chiuso in casa a disegnare ma interagisce con le persone, capisce le problematiche, il contesto,  pone e si pone delle domande per arrivare a risolvere il problema. Una volta arrivati al problema è lì che nasce l’user experience vera e propria. “Abbiamo questo problema, c’è qualcun altro ad avere questo problema?” Se sì o no, lo si scopre solo con una fase di research. Definito il problema, l’UX crea una soluzione e inizia a disegnare degli schizzi su di un foglio, non c’è bisogno di avere una formazione specifica per disegnare un quadrato che andrà a rappresentare la pagina web o un quadrato più piccolo che rappresenterà un bottone. Io consiglio sempre di fare dello stesso progetto molti schizzi e della stessa idea svilupparla in dieci differenti versioni e solo alla fine convergere le parti migliori in una soluzione ideale. Una volta creata una soluzione ideale si realizza il prototipo da mostrare agli utenti, solitamente in versione digitale, da lì si iniziano a ricavare i primi feedback e si continua con questo schema fino alla realizzazione e messa online.

È importante dedicare del tempo alla tecnica e per maturarla bisogna costantemente provarla – non c’è altra soluzione – io stesso ancora non so esattamente cosa devo fare a seconda del problema, del team di lavoro, non esiste ancora una chiara metodologia anche se in questo caso al teoria è essenziale. Prova, testa e valida i tuoi progetti solo così potrai trovare il tuo futuro.»

Due consigli per concludere?

«Un’altra cosa essenziale è dedicare del tempo al networking – l’ideale sarebbe 50% tecnica e 50% networking, conosci più persone che puoi. Io nel mio percorso ho conosciuto tanti designer che sfortunatamente non si sentivano sicuri di loro stessi – eppure erano bravi – si lamentavano della compagnia dove stavano e nonostante questo continuavano a restarci fino ad entrare nel loop. Questo spesso succede perché non si sono mai voluti confrontare, hanno avuto paura di farlo, non si sono buttati e messi in gioco; solo confrontandoti puoi imparare a conoscerti e a capire i limiti e le tue potenzialità.

Continuando con le percentuali, io ti direi che dovresti dedicare idealmente il 50% della tua vita a conoscere persone-chiave e metterti in gioco, andare a seguire conferenze e conoscere sempre gente più brava di te da prendere come mentor e fare continuamente networking, questo è essenziale per diventare un bravo user experience designer. Questo ti servirà anche per capire come funzionano diversi tipi di compagnie, se non conosci mai nessuno di nuovo, non potrai nemmeno sapere come si lavora in certi ambienti, piuttosto che in altri. L’altro 50% della tua vita dedicalo alla tecnica, alla pratica ma soprattutto allo studio, è essenziale.»

Grazie Pedram.

@GloriaChiocci