Betty Pagnin: “People & Culture deve tradurre i messaggi del business in stimoli comprensibili per il team”

Questa settimana vi racconto la storia di Betty Pagnin, classe 1987,  People & Culture Director e mentore di giovani startupper! Il suo profilo e la sua storia fanno parte di una contemporaneità bella, stimolante e ricca di prospettive. Ripensare al mindset delle aziende, mettendo al centro le persone con le loro storie e i loro bisogni sarà la chiave dell’immediato presente ma soprattutto del futuro. Andiamo a conoscere Betty e il suo lavoro quotidiano!

Betty con la non-profit “La Carica delle 101” accompagni insieme ad altre 100 donne i giovani startupper italiani nel loro percorso di crescita, quanto oggi avere un ecosistema di riferimento è importante?

«Quando Giovannella Condò e Odile Robotti me l’hanno proposto, ho sposato da subito il progetto perché mette insieme due elementi incredibili: un network di donne ambiziose e competenti e la propensione di lasciare un impatto sulla nuova generazione imprenditoriale, che non è sempre e necessariamente giovane in termini anagrafici. La Carica delle 101 mi ha insegnato che la condivisione dell’esperienza è un acceleratore di crescita potentissimo e che non investiamo ancora nello scambio intergenerazionale. Penso a quanto questo continuo scambio possa cambiare in meglio giorno dopo giorno l’approccio al lavoro. I network come “La carica delle 101” sono un bacino di formazione ancora inespresso, e che con questo progetto vogliamo mettere a sistema.» 

Non risorse umane ma “People e Culture” perché oggi è importante per un’azienda concentrarsi sulle persone e sul loro benessere a 360°? 

«People & Culture amplia il perimetro di quello che fino ad oggi hanno fatto le risorse umane includendo le persone a 360 gradi, la cultura organizzativa come acceleratore della performance della persona e lo sviluppo di un forte senso di appartenenza. Questo cambiamento di mentalità (perchè sì, People & Culture è proprio un mindset!) parte dalla concezione che un team motivato, stimolato e aggiornato su tutte le decisioni è un elemento chiave per il successo dell’azienda. Inoltre chi lavora in People & Culture deve tradurre i messaggi del business in stimoli comprensibili per il team: ad esempio in tempo di lockdown mandavo comunicazioni periodiche e costanti a tutto il team per aggiornarli sulle direzioni e sulle scelte che stavamo prendendo. In OneDay ci concentriamo sulle persone in un modo semplice: mettendole al centro. Sembra banale ma non lo è. I team member ricevono sostegno dall’azienda dal punto di vista formativo con proposte di Academy e BootCamp, e personale con un ricco piano di welfare, in quelli che noi chiamiamo i “OneDay”, ovvero le tappe fondamentali della vita come l’acquisto della prima casa, il matrimonio o l’unione civile o la nascita di un figlio. Ma prima di qualsiasi iniziativa è necessario cristallizzare la cultura aziendale: abbiamo redatto un culture manifesto che metto nero su bianco chi siamo, come lavoriamo e quali sono i nostri valori, e lo abbiamo appeso in versione gigante nella hall del C30, il nostro building. Tutto il team si riconosce nel manifesto e da quel documento quotidianamente partiamo per avere un “impatto nel mondo” (come recita la nostra vision) con i nostri business.»

Donna, founder e startupper quale scelta ha influenzato maggiormente il tuo percorso? 

«Ogni evoluzione e ogni esperienza ha contribuito a plasmare la mia professionalità e la persona che sono, e ogni dettaglio ha aggiunto (e continua ad aggiungere!) un tassello nel mio bagaglio di esperienze. Quello che indubbiamente posso indicare come acceleratore della professionista che sono è l’aver potuto sperimentare senza essere legata in nessun modo a una verticalità di ruolo. Credo che spesso la job title altisonante e con nomi che a volte non significano niente  ingessi e sia un vero e proprio freno, invece pensare senza schemi predefiniti ti fa evolvere più velocemente. Personalmente mi sono sempre gettata a capofitto nelle opportunità, facendomi attrarre dalla possibilità di imparare e di creare qualcosa di nuovo. E in automatico tutto ciò che facevo tutti i giorni non era un lavoro ma la mia passione! È proprio questo approccio che ad esempio, mi ha permesso di esaudire il mio desiderio di essere mamma, e lo sarò tra poco per la seconda volta, senza essere costretta rinunciare all’ambizione di crescere professionalmente. Per ricollegarmi alla domanda precedente, questo è quello che cerchiamo di creare in OneDay con il piano di welfare e la solida cultura aziendale!»

Grazie Betty!

Gloria Chiocci