Aurora Caporossi, 24 anni di Roma è la co-founder di Animenta un’associazione no-profit creata dai più giovani per raccontare, informare e sensibilizzare sui Disturbi del Comportamento Alimentare. Oltre a occuparsi di Animenta, Aurora è in formazione come Danzaterapeuta e sta conseguendo la laurea magistrale in Marketing e Comunicazione alla Sapienza. In questa ultima settimana (28 settembre – 2 ottobre) ha girato per l’Italia: Varese, Milano, Firenze e Orvieto per partecipare a incontri di sensibilizzazione e prevenzione dei Disturbi del Comportamento Alimentare su tutto il territorio nazionale. Così racconta: “ogni settimana incontriamo professionisti, aziende ma soprattutto persone che si impegnano come noi a raccontare, specialmente alle nuove generazioni, ogni aspetto dei Disturbi del Comportamento Alimentare.” La sua persona e storia mi hanno colpita molto, vi accompagno a conoscerla.
Partendo dalla tua esperienza personale sei riuscita attraverso i social a parlare di disturbi del comportamento alimentare (DCA). Ricordi i primi momenti e le sensazioni?
«Mi sono ammalata di anoressia nervosa a 16 anni e a 23 anni ho fondato Animenta. Di anni ne son passati più di 7 ormai ma ogni volta che creo un contenuto rivedo la me di 16 anni, quella ragazza che aveva paura di raccontarsi, che aveva paura di dire la sua perché sempre preoccupata del giudizio altrui. La rivedo e la saluto da lontano come si fa con un vecchio ricordo del quale non ti dimenticherai ma sai che ora puoi andare avanti.
Diverse volte mi hanno chiesto “Non hai paura che, raccontando di aver sofferto di un DCA, le persone comincino a guardarti in modo diverso?” Quello che rispondo sempre è che se cominciano a guardarci in modo diverso perché abbiamo sofferto di una malattia mentale, come un disturbo alimentare, significa che non ci hanno mai visti per davvero, perché nessuno di noi deve chiudere in un cassetto, come ho fatto anche io per diversi anni, ciò che è stato o quello che ha affrontato. Una malattia non definisce chi siamo o chi saremo.»
Perché si parla ancora così poco apertamente di disturbi del comportamento alimentare (DCA) nel nostro paese?
«I DCA portano con sé grandi tabù nati anche dall’ambiente socio culturale nel quale viviamo, un ambiente legato ancora troppo al culto del corpo e alla performance, legato alla diet culture. Vergogna e solitudine sono le parole più comuni quando leggiamo le storie che ci arrivano quotidianamente. La vergogna di essere giudicati per una malattia ancora molte volte non compresa, la solitudine di chi non riesce a capire cosa sta accadendo e crede che nessuno potrà mai capirlo. Per questo Animenta nasce raccontando le storie di chi ha sofferto/sta soffrendo di un DCA, per capire che non c’è vergogna e che nessuno di noi è solo. Quando si affrontano temi così complessi non bisogna solo analizzare quanto se ne parla, ma anche il modo in cui lo facciamo.
Con Animenta lavoriamo sul modo in cui si parla di queste malattie prediligendo una comunicazione che le racconti a 360 gradi per arrivare a capire, tra i tanti temi che affrontiamo, che i disturbi alimentari non sono solo questione di corpo, cibo e peso ma che sono malattie mentali espressione di un disagio più profondo che non sempre è visibile nel corpo.»
Animenta è l’associazione da te co-fondata, quali progetti state portando avanti?
«Animenta lavora su due livelli: online, attraverso la pagina Instagram, e sul territorio. I progetti che ci vedono impegnati anche quest’anno sono quelli legati alle attività di prevenzione e sensibilizzazione nelle scuole. L’attività con le scuole è fondamentale per intercettare richieste di aiuto e poter portare un supporto concreto ai ragazzi, alle famiglie e al corpo docenti. Continueremo poi a portare in tutta Italia laboratori ed eventi per creare, come diciamo sempre, occasioni e luoghi in cui ogni storia è accolta e il giudizio bandito.
In contemporanea continueremo a lavorare, anche insieme alle altre associazioni del Movimento Lilla di cui siamo parte, per fare in modo che queste malattie abbiano cure adeguate, tempestive e corrette.»
Grazie Aurora!
Gloria Chiocci