Si può trovare se stessi attraverso la musica? Si, si può! La storia di Luca Bartolucci ventiquattrenne lo dimostra. Luca è vivace, appassionato e con una creatività fuori dal comune. Dopo un brillante percorso di studi e una doppia laurea magistrale tra Forlì e Nancy (FR) in Management e Marketing, ora vive a Milano dove lavora come digital account.
La storia che vi sto raccontando oggi è diversa da quella di settimana scorsa o quella prima. Luca non è uno startupper, un imprenditore e nemmeno un astronauta, ma Luca grazie alla sua ostinata passione è riuscito a scoprirsi, accettarsi e raccontarsi in musica nel suo album “Caduto in Orecchie Sorde”. Andiamo a conoscere la sua storia.
Luca, come è nata la passione per il pianoforte?
«Un bambino con un carico enorme di creatività, è così che mi sono sempre visto, e attraverso il pianoforte sono finalmente riuscito a dar vita a questa parte di me. Prima di conoscere questo strumento, ricordo che tamburellavo con le dita sul tavolo finché mia nonna non decise di comprarmi la mia prima tastiera.»
A che età hai iniziato a studiare pianoforte?
«A 13 anni ho iniziato a studiare musica classica, una disciplina bellissima, ma da quel momento ho capito una cosa essenziale: desideravo trovare qualcosa che rappresentasse le mie emozioni e non replicare il lavoro di altri. Forse è per questo che la musica classica non è nelle mie corde; non desidero far parte dell’esecuzione perfetta di un brano di Beethoven ma voglio suonare me stesso e i miei sentimenti.
Da quel momento iniziai il mio percorso mentale ed emotivo, e nell’estate 2014 scrissi il mio primo brano “Tears” (lacrime) che non è presente nell’album. È la mia primissima canzone scritta in una notte intera, in un giardino di una casa inglese con un pianoforte vecchissimo trovato in quella stessa casa. Era una delle mie ultime notti in Inghilterra ed ero un pò nostalgico perché si stava per concludere la mia prima esperienza all’estero.
Da lì a pochi mesi poi mi sono trasferito a studiare a Bologna e ho iniziato a comporre brani diversi. Ad oggi ho composto circa venti brani. Soltanto quest’anno però, ho preso coraggio ed ho pubblicato il mio primo album, composto da sette canzoni, simbolo dei miei ultimi sette anni.»
Sette canzoni, una per anno. Raccontami questa scelta stilistica o emozionale…
«Ho cercato di creare un percorso in sette tappe, che raccontasse, riassumendoli, sette anni della mia vita. Quando avevo 16 anni avevo difficoltà relazionali, vedendomi ora non lo diresti mai. Avevo paura di aprirmi e mi tenevo dentro pensieri e timori. Sono gay ma non è stato semplice accettarlo, sono cresciuto in una comunità dove era, e spesso è ancora, un tabù. Qualcosa di strano, sbagliato. Gli sguardi, le parole dette e quelle non dette spesso restano impresse e per questo sentivo di non essere adeguato, temevo che le persone potessero scoprire chi ero veramente e non accettarmi.
Ho avuto un blocco, durato fino al trasferimento a Bologna, da qui la vita universitaria, le esperienze all’estero e le persone che ho incontrato mi hanno aiutato a staccarmi da tutto quello che era routine, che mi chiudeva e imprigionava. Da qui è iniziata la mia evoluzione che è raccontata nelle sette canzoni dell’album, ciascuna un pezzo di puzzle, ciascuna il riassunto di momenti diversi, tristi o sereni ma significativi, che uniti vanno a formare ciò che sono ora, un incastro di pezzi che raccontano la mia vita attraverso un cambiamento e una maggiore consapevolezza nell’affrontare le sfide.»
Perché l’album si chiama “Caduto in Orecchie Sorde”?
«L’album si chiama “Caduto in Orecchie Sorde”, ed esprima una percezione tutta personale delle interazioni con gli altri. Parlavo ad orecchie che non mi ascoltavano realmente, erano sorde, ed io mi sentivo cadere nel vuoto, impotente, solo.
Il primo brano infatti si chiama “Sotto l’acqua”, un brano ripetitivo e molto angosciante, scandito dal movimento delle onde. Rappresenta il non poter comunicare, urlare, farsi sentire, non respirare.
Dall’oscurità dei fondali marini dove stavo precipitando arriva il secondo brano nato dall’idea di un fulmine che illumina l’oscurità “A Lightning in the dark”, che rappresenta la vita universitaria e l’inizio della mia rinascita. È tutto un crescendo fino ad arrivare all’ultima canzone, emblema della mia attuale serenità e pace interiore. Si chiama “Wings” (ali) e dipinge il momento in cui ho spiccato il volo e preso in mano la mia vita.»
Un consiglio che daresti a tutti i giovani che si sentono ancora sott’acqua?
«Io direi: tranquilli, è una fase e l’importante è non farsi tirare giù, da nessuno, principalmente da voi stessi. Ragazzi, bisogna nuotare! Cercate il vostro fulmine, aprite gli occhi, iniziate a respirare. Una volta trovata la vostra strada, lottate per ottenere ciò che vi rappresenta e ciò chi siete veramente. Spiccate il volo!»
Grazie Luca!
Gloria Chiocci