Lavorare scrivendo, in modo libero, senza uffici o obblighi di vivere in città. È possibile? Iacopo con la sua storia ci dimostra di sì.
Iacopo raccontami un pò di te!
”Nome: Iacopo Pelagatti, età: 29 anni (ancora per poco), provenienza: Piacenza. Lavoro: copywriter, anche se a questo ci arrivo tra un attimo. Fin da bambino ho sempre amato molto leggere e scrivere. I libri mi tenevano compagnia e il momento del tema in classe d’italiano era sempre magico. Crescendo però non ho mai studiato scrittura e all’università mi sono iscritto a economia alla Bocconi, pagandomi da solo la vita e gli studi a Milano.
All’epoca passavo con disinvoltura da un lavoro all’altro, facendo spesso anche i più strani. Dal mondo dei locali alle feste organizzate con il mio collettivo, dalle serate come dj fino all’esperienza in strada con Greenpeace (lavoro che mi ha insegnato tanto sulla comunicazione e la vendita, ma che mi ha anche trasmesso l’importanza dei valori, dell’etica e della creatività). Scrivevo già allora? Sì, anche se pensavo che scrivere fosse esclusivamente narrativa o giornalismo. Avevo studiato comunicazione con una grande copywriter come Annamaria Testa, ma ero molto confuso su come trasformare la scrittura in un lavoro che mi permettesse di vivere solo di quello. Iniziai con qualche racconto (ne pubblicai un paio su riviste vendute in tutta Europa) e qualche articolo per magazine di musica (esperienze entrambe non pagate). Al momento della scelta dello stage all’università capii però che il panorama dell’editoria – che sarebbe stato il mio naturale proseguimento – non mi soddisfava, lo vedevo come un mondo vecchio e poco attraente.
Poco dopo partii per la Germania, dove trovai uno stage all’interno di una startup di moda. In quel momento mi scattò un click nella testa. Il mio compito era creare contenuti creativi che poi diventassero virali in rete e venissero ripostati dai principali quotidiani e magazine italiani. L’ufficio era un super loft con le altalene, pieno di influencer (allora nessuno sapeva ancora bene cosa significasse il termine) e fashion blogger, ed era anche lo stage meglio pagato tra tutti quelli svolti dai miei compagni di corso. Capii che esisteva un mercato per la creatività, ma tornato a casa mi trovai in forte conflitto con Milano e con il mondo del lavoro in Italia…
Due anni di sola lettura…
“Esatto! Dopo la laurea lasciai Milano e mi ritirai sulle colline in provincia di Piacenza, dove per due anni non feci altro che scrivere e leggere. Scrissi un romanzo – che non ho mai pubblicato – e per mantenermi iniziai a lavorare in un ristorante cinese (ero l’unico italiano nello staff). Scrissi anche una proposta di dottorato in sociologia/antropologia, che mandai alla Statale di Milano e che mi venne valutata il massimo, ma respinta. Probabilmente a quell’epoca in molti mi videro come un irrimediabile fallito. Parliamoci chiaro: chi fa il cameriere in un ristorante cinese di provincia dopo una laurea magistrale alla Bocconi? Io sapevo che non volevo rinchiudermi in un ufficio, mi piaceva scrivere e volevo essere libero dai vincoli che mi avevano soffocato nei mesi trascorsi a lavorare a Milano. Non sapevo ancora però come trasformare tutto ciò in qualcosa che mi desse anche un’entrata economica.
Come hai iniziato?
“Mi iscrissi a siti per freelancer e comprai un biglietto di sola andata per la Spagna. Bruciai i ponti dietro di me e mi diedi come missione quella di trovare lavoro da freelancer prima di terminare i 900 euro che avevo sul conto. Un bel giorno a Bilbao (lo ricorderò per sempre), dopo un mese di nomadismo digitale mancato, capii che avevo fallito completamente, e mi prese il panico. Quello stesso giorno però ebbi un’idea di startup legata alla musica e (tornato in Italia) vinsi 8.000 euro dalla regione Emilia Romagna per realizzarla, andando anche a presentare l’idea ai vertici del Comune di Bologna. Però in quei mesi decollò finalmente anche il mio lavoro come copywriter (buffo, vero?) e tra la startup e la scrittura scelsi il vecchio amore per la seconda. Da zero scelte a troppe scelte…
Forse è quando pensi di aver toccato il fondo che inizia il divertimento!
Pensa che in quegli anni divisi tra spaghetti di soia consegnati ai tavoli e ore passate a scrivere, il mio piccolo obiettivo era quello di arrivare a guadagnare 800€ al mese lavorando da remoto. Il discorso oggi (post Covid) è quasi mainstream, ma allora lo smart working era un miraggio e la gente ti prendeva per pazzo. Fantasticavo sull’idea di trovarmi una stanza in Portogallo e passare il tempo a scrivere e surfare. La vita poi mi sorprese di nuovo: quando le cose iniziarono ad ingranare lo fecero a una velocità e con una portata che non avrei mai immaginato. Ora so che per ciò che faccio c’è un mercato enorme. Non è diventato difficile trovare lavoro, ma prendermi del tempo per non lavorare.
I tuoi primi lavori oltre agli articoli?
“Iniziai a scrivere e-mail di vendita per diversi business, che generarono decine e poi centinaia di migliaia di euro. Ora, se dovessi fare un calcolo indicativo, saremmo a qualche milione di euro generato. Questo per dare l’idea di quanto la comunicazione di un prodotto abbia effetti concreti sulle vendite. Altra nota divertente: in quel periodo scoprii l’universo Marketers, fatto di persone a me affini e che vivevano la vita che avevo sempre sognato (e che pensavo di aver sognato da solo). Due anni dopo questa scoperta, mi trovai a parlare sul palco del Marketers World a Rimini. Come ho detto durante il mio speech: “your vibe attracts your tribe”, ossia “chi sei tu attira la tua tribù”. Penso che io, Dario e Marketers fossimo destinati a incontrarci e a lavorare insieme.
Cos’è per te il copywriting e cos’è lavorare oggi con le parole?
“È molto difficile capire oggi di cosa parliamo quando parliamo di copywriting. L’immagine che hanno le persone del copy è molto confusa e va dalla scrittura di articoli alla comunicazione legata alla vendita, fino al naming, ai payoff (per capirci: “Just do it” di Nike o “Dove c’è Barilla, c’è casa”) e a tutto l’universo branding. Va detto comunque che neanche i copywriter tra loro hanno la stessa idea.
Io cerco sempre di andare a monte, di tagliare l’inutile e approdare all’essenziale. Nel 90% dei casi l’imprenditore commissiona un articolo o una mail e il copywriter si limita a scrivere. Ma questo è un lavoro parziale: equivale a partire dalla fine e non dall’inizio. La conseguenza è che il 90% dei contenuti che sono online non arrivano a nessuno e non ottengono risultati degni di nota. Perché? Perché a monte non solo non c’è strategia, ma nemmeno voce – non parlo solo di tone of voice, anche quello è importante – ma di vera e propria identità.”
Nella scrittura come si costruisce un’identità?
“Lavorando sui valori del brand, sul “chi sono e chi non sono”, “con chi lavoro e con chi no”. E dopo (solo dopo) andando a lavorare sulle parole che userò per dire tutto questo al mondo, per scuoterlo, ispirarlo, spingerlo a unirsi a me e a desiderare ardentemente ciò che vendo. Poniamo come esempio che domani arrivi da me un imprenditore e mi dica: “Iacopo, io vendo mobili qualsiasi, mi scrivi un articolo sui mobili, così mi posiziono sui motori di ricerca e la gente mi trova online?” Io con tutta onestà gli rispondo: “Non te lo faccio, non mi interessa, neanche se mi paghi a peso d’oro”. Quello non è più il mio mondo. Non me ne frega niente di posizionare un articolo o di vendere un prodotto indistinguibile dagli altri, mi interessa generare un cambiamento forte in un mercato, nella vita delle persone. E l’imprenditore (se si prende un attimo per rifletterci), capisce che vuole lo stesso.
Un messaggio per i giovani che desiderano lavorare come copywriter?
“Non scrivete mai solo per voi stessi, fatelo prima di tutto per gli altri. Il copywriter non deve celebrarsi: deve vendere, nel senso più nobile della parola, e quindi non solo prodotti, ma prima di tutto idee, visioni. Venendo dalla narrativa, all’inizio avevo anche io un approccio autoreferenziale. Leggevo Bukowski, Kerouac e tutti i grandi che sono passati alla storia raccontando la propria vita. Risultato: mi “scrivevo addosso”. Il marketing però ti aiuta a capire che sei una scintilla che deve infiammare il lettore. Non devi preoccuparti di diventare il falò che brucia meglio, ma imparare a infiammare gli altri, arrivando al momento giusto, per la persona giusta, con le parole giuste. Per capire come farlo bisogna uscire, ascoltare davvero le persone, porre le domande azzeccate (spesso quelle scomode) ed essere antropologi a briglia sciolta. Ma soprattutto, immettere costantemente input di qualità dentro noi stessi. Credo infatti che la qualità delle nostre parole sia una diretta relazione della vita che facciamo. Se vivremo la nostra esistenza col freno a mano tirato, nutrendoci male a livello di letture, di esperienze ed emozioni, difficilmente scriveremo parole capaci di trascinare. I migliori copy che ho scritto sono arrivati dopo letture ed esperienze straordinarie. Se poi volete vendere chiavi inglesi, andate a bervi una birra in un bar fuori da un’officina meccanica. C’è sempre un lavoro a monte, la scrittura del copy arriva per ultima.
Quanto impieghi a scrivere un copy?
“Col tempo si diventa sempre più veloci. Si riesce ad aumentare esponenzialmente la quantità senza sacrificare la qualità, facendo in un giorno ciò che prima avremmo fatto in una settimana (e magari facendolo molto meglio). Però anche qui è importante conoscersi. Se hai chiaro cosa dire, puoi scrivere una landing page da 2.000 parole in un pomeriggio. Però se non hai il quadro chiaro, metterti a scrivere subito serve a poco. Mettiamo che mi dicano oggi di avere tre giorni per scrivere un copy molto importante. Passerò probabilmente il primo giorno senza scrivere una parola, facendo lavorare la mia mente in background sul messaggio. Magari farò ricerca e parlerò con chi può darmi le informazioni e le idee giuste (andrò a bermi la metaforica birra fuori da quella officina). Il secondo giorno scriverò il copy di getto, senza pensare troppo all’editing. Poi lo farò riposare una notte e passerò il terzo giorno a editarlo, concentrandomi sui piccoli dettagli che fanno la differenza. Questo se c’è il lusso del tempo. Altrimenti viva la pressione, che è sempre una grande amica: se so cosa dire posso metterci anche un paio d’ore, il copy esce come un proiettile sparato a mille all’ora, pronto a colpire (senza ferire)”.
Qual è la più grande credenza sul copy?
Semplificando un po’, direi che ci sono due macro-cosmi. Da un lato quello creativo, dall’altro quello scientifico. I copywriter appartenenti al primo non hanno idea di come si venda. Trovano frasi e parole ad effetto che strappano un sorriso e spesso niente più. I copy del secondo gruppo invece vengono dal background del direct marketing e si focalizzano sulla “persuasione” e le conversioni, spesso con poche idee o creatività. Credo che saper saltare abilmente da un mondo all’altro (o da un emisfero del cervello all’altro) oggi sia fondamentale. In mezzo poi possiamo metterci il blogging e il giornalismo, che a mio parere hanno tanto da imparare da entrambi gli universi più creativi da un lato e orientati alla vendita dall’altro. Confesso che faccio una fatica bestiale a leggere il 99% dei giornali e dei blog in circolazione. Quando trovi qualcuno bravo a scrivere le sue parole ti prendono e non ti lasciano più fino alla fine. Anche dopo che hai finito di leggere, sono ancora lì con te. In generale, ogni settore e mercato ha il suo modus operandi. Il conduttore del tg parla sempre da conduttore di tg, e diventa così un numero, una commodity. Magari se parlasse in modo diverso diventerebbe il volto più noto dei tg d’Italia in un mese e la gente vorrebbe solo lui o lei. Solo perché lo fanno tutti, non significa che sia una buona idea farlo. Spesso vale l’esatto opposto. Se non stai innovando (nella scrittura come nel resto), significa che non ti stai sfidando. Parafrasando Picasso, devi imparare le regole come un professionista, per poi poterle infrangere come un artista.”
Grazie Iacopo!
Gloria Chiocci