Francesco Marino

Francesco:”Cosmico è la remotizzazione del lavoro attraverso il co-living”

Francesco Marino, 33 anni è di Catania dopo una laurea in Economia Aziendale all’Università di Catania e master in Digital Economics & Entrepreneurship in H-FARM ha fondato Cosmico la startup che ha ripensato il remotizzazione del lavoro attraverso il co-living.

Come nasce l’avventura di Cosmico? 

«Nasce a tavola, nel 2019, durante un pranzo con i miei co-founder Simone Tornabene e Matteo Roversi. Partendo dalla loro esperienza di imprenditori nel mondo agenzie di comunicazione e dalla mia di consulenza per progetti digitali, abbiamo pensato a quale potesse essere il futuro delle professioni digitali. Che la tecnologia fosse diventata un abilitatore di nuovi modelli di organizzazione del lavoro e di nuove opportunità era chiaro, ma mancava all’epoca un soggetto in grado di interpretare questo cambiamento, diffondendolo anche dentro le organizzazioni che già allora erano nostri clienti. Nel Febbraio 2020 abbiamo lanciato Cosmico, e i due anni di Covid-19 hanno reso tutte le aziende pronte a lavorare in modo differente.»

Co-living se ne sente tanto parlare ma in cosa consiste e quali benefici può apportare? 

«Il cuore della diversità di Cosmico è la remotizzazione del lavoro. Quando si parla di Smart Working o lavoro da remoto, il dibattito si polarizza quasi istantaneamente fra pro e contro. Chi è contro spesso cita la perdita di contatto umano fra colleghi. Noi crediamo che si possa e si debba remotizzare e che il contatto umano debba essere possibile in nuovi modi. Anziché 10 minuti al giorno alla macchina del caffè, una settimana a trimestre con i tuoi colleghi, lavorando e divertendosi insieme da posti magici come Fuerteventura. I benefici di questa formula chiamata co-living sono quelli di qualsiasi convivenza: legami più profondi, relazioni più vere, arricchimento personale e professionale. Vale mille caffè alla macchinetta.»

Come i giovani talenti del digitale riescono a connettersi con le organizzazioni? 

«Il problema è prima di tutto culturale, come spesso avviene con i passaggi generazionali. La GenZ si connette bene a quelle organizzazioni con una cultura basata sulla fiducia e non sul controllo; con orari flessibili su cui l’individuo ha potere decisionale; orientate ai risultati e alla responsabilità e non al “vendere” ore del mio tempo per fare cose che mi vengono ordinate. Infine chiedono formazione continua e dedicata, anche attraverso mentorship fatta da persone più espedienti. Servono organizzazioni nuove, culturalmente prima che organizzativamente. E invece spesso si legge di nostalgia e “ai miei tempi si faticava!” Come se adesso lavorare significasse non investire fatica.» 

Grazie Francesco!

Gloria Chiocci