Lucia Ceccarelli, un’artista orafa di 34 anni originaria di Cesena. Dopo aver iniziato il suo percorso formativo all’Istituto tecnico per geometri, ha intrapreso gli studi in Architettura presso la facoltà “Aldo Rossi” a Cesena, per poi trasferirsi a Firenze all’accademia “Metallo Nobile”. Lucia ha fatto un salto coraggioso, lasciando il mondo strutturato dell’architettura per dedicarsi completamente alla gioielleria, dove può esprimere la sua creatività e il suo impegno per la sostenibilità. Scopriamo di più sul suo affascinante percorso e sulla sua filosofia artistica con Acherontia.
Il tuo percorso di studi e la scelta di lasciare Architettura per dedicarti all’arte orafa sono stati sicuramente significativi. Puoi raccontarci come hai vissuto il passaggio da un campo così strutturato a uno che ti permette di esprimere la tua creatività senza limiti?
«In realtà, passando da Architettura a un’elaborazione molto tecnica e schematica come la gioielleria artistica fiorentina, il passaggio non è stato così forte o sentito. Certo, avevo lasciato qualcosa che pensavo mi sarebbe piaciuto per dedicarmi a qualcosa che, invece, mi affascinava sempre di più giorno dopo giorno. L’espressione della mia creatività è arrivata dopo molti anni, quando ho finito l’accademia e mi sono licenziata da un contratto a tempo indeterminato in un laboratorio orafo, perché non sentivo la connessione diretta con la mia voglia di esprimermi. Così ho pensato che, probabilmente, per mantenere l’arte pura e non contaminata, dovevo relegarla al ruolo di hobby. Qualche mese prima del mio trentatreesimo compleanno, non so come, mi sono ritrovata con una penna in mano a firmare un contratto di locazione per il mio laboratorio/bottega.
Pensavo che avere carta bianca mi avrebbe spaventato o destabilizzato, ma presto ho capito di essere in errore: finalmente stavo nuotando nelle mie acque, create su misura per me. Quello è stato il momento di liberazione, dove ho compreso che non avevo mai concluso nulla con completa soddisfazione, perché non lo stavo facendo nella maniera giusta per la mia dimensione. Guardandomi indietro, mi rendo conto che l’Accademia mi ha fornito le basi, la tecnica e l’opportunità di crescere e imparare ogni giorno cose nuove; il mio lavoro in un laboratorio mi ha aiutato a capire che non ero in grado di scendere a compromessi e che funziono meglio quando non ho rigide restrizioni, orari di lavoro e ferie prestabilite. Forse la completa libertà non è per tutti, ma per me è fondamentale. Architettura: un tasto dolente, ho odiato ogni secondo trascorso in quelle mura. Ma una cosa bella me l’ha insegnata: a volte, lasciare perdere e voltarsi in un’altra direzione è un buon modo per salutare per sempre ciò a cui non sei destinato.»
La tua filosofia è di utilizzare metalli riciclati e creare gioielli che mutano nel tempo. Come riesci a coniugare la sostenibilità con l’arte della gioielleria e in che modo questo approccio si riflette nella creazione di ogni pezzo, e come il processo di ossidazione contribuisce all’unicità di ciascun gioiello?
«La filosofia del mio lavoro ruota attorno a due concetti: sostenibilità e unicità. Ho iniziato a recuperare metalli riciclati, escludendo da tutte le mie creazioni componenti chimici o trattamenti inquinanti che avevo imparato a conoscere e usare fino a quel momento, poiché non si adattavano al mio stile di vita etico. Piano piano, provando e facendo ricerche, ho trovato delle alternative naturali, meno inquinanti, che mi dessero il risultato desiderato senza nuocere all’ambiente.
Il naturale processo di ossidazione dei metalli crea gioielli che mutano nel tempo, diventando unici e irripetibili, smontando l’idea, per me un po’ antiquata, di perfezione assoluta. Ad un certo punto mi sono chiesta: cosa c’è di unico in un gioiello perfetto e prodotto in serie? Quella piccola imperfezione, quella “sbandata” che ti fa uscire dai binari canonici, o quella parte che, a causa dell’umidità, tende ad avere un riflesso azzurro dovuto all’ossidazione: ecco il concetto di unicità, darsi la possibilità di cambiare nel corso del tempo, proprio come cambiamo noi, notando una ruga in più quando sorridiamo o i capelli bianchi che ogni anno diventano più vistosi. Questo approccio è un po’ controtendenza rispetto a ciò che il mondo oggi ci chiede: essere efficienti, giovani, perfetti e senza sbavature. Ma non è l’unica cosa che rende i miei gioielli unici: ogni pezzo deriva dall’ascolto del mio cliente.
Il progetto inizia con una chiacchierata, durante la quale scegliamo insieme la pietra su cui lavorare, per poi passare al racconto vero e proprio. C’è chi mi racconta un sogno, chi descrive quella bella volpe che passa ogni mattina all’alba nel proprio giardino, una pianta che ricorda l’odore di casa, o anche solo semplicemente il proprio animale del cuore. Tra le mie passioni c’è anche quella per il folklore, le mitologie, le credenze e le leggende; perciò, attorno al gioiello viene creato un vero e proprio racconto che parla della persona che me l’ha commissionato. Un gioiello con una volpe in un prato all’alba, ad esempio, non potrà mai essere uguale a un altro, nemmeno se ne facessi cento nei cento giorni. C’è l’errore umano (dell’artigiano), il cambiamento del metallo nel corso del tempo in base a una serie di fattori esterni (pH della pelle di chi lo indossa, luce solare, umidità, ecc.) e il racconto di chi mi ha chiesto di trasformare il proprio pensiero in un oggetto di metallo.»
Come può la tua esperienza di scelta impulsiva di una pietra ispirare i giovani a fare scelte più consapevoli e personali nella loro vita e nelle loro passioni?
«In realtà, la scelta impulsiva di una pietra non ha nulla di mistico (almeno per me), ma più una componente psicologica; è lo stesso motivo per cui una mattina ti svegli e decidi di indossare una maglietta gialla anziché nera. Ognuno poi può darsi la propria risposta in base ai propri valori e ciò in cui crede. Pertanto, non so dire se questo abbia a che fare con una scelta consapevole, poiché non mi addentrerò nel labirinto intricato delle scelte inconsce. Posso però spiegare come si possano fare scelte più consapevoli tramite l’artigianato o gli oggetti di valore. Prima di tutto, questi oggetti hanno un valore più alto; quindi, di fronte a cifre più importanti rispetto a quelle che si trovano nelle grandi catene, un acquirente è più portato a farsi una domanda fondamentale: “Lo voglio veramente?”. La qualità si paga, così come si paga la quantità; scegliere tra queste due si chiama libero arbitrio. Facendo un esempio pratico, il mio processo creativo è un po’ controcorrente in questo mondo dove i tempi sono dettati dalla produttività e dal capitalismo: cerco di dedicare il giusto tempo a ogni singolo gioiello, godendomi ogni passaggio, correndo un po’ il rischio di metterci un’ora in più per crearlo.
Ho scelto di non mettere orologi nel laboratorio e quando vedo le luci spegnersi negli altri negozi, so che è ora di andare a casa. Accendo un incenso, metto su buona musica, ascolto un podcast, bevo del tè, mi regalo l’opportunità di chiudere mezz’ora prima per andare a pranzo con un’amica. Tutto questo mi aiuta a vivere meglio il processo creativo e mi regala l’opportunità di vivere ciò che mi piace in maniera più consapevole, anche all’interno di un mondo che corre incessantemente, dove la buona riuscita significa fare di più in meno tempo, a volte a discapito della qualità del prodotto e del benessere personale. Per me, ogni cosa che faccio è un viaggio, non una destinazione. Vivere consapevolmente ogni attività è una scelta. Io l’ho imparato tardi e spero che in un mondo dove i giovani guardano ai propri bisogni e al proprio benessere, senza quella smania di fatturare, speculare e guadagnare come qualche generazione precedente, si possa arrivare a uno stile di vita più incentrato su ciò che si ama di più e sul proprio ritmo.»
Grazie Lucia!
Gloria Chiocci