L’obiettivo di Rifò? Creare un modello sostenibile e circolare nell’industria della moda

Nicolò Cipriani e Clarissa Cecchi sono due giovani di Prato di 29 e 24 anni. Nicolò è laureato in Management e amministrazione delle Istituzioni Internazionali mentre Clarissa sta ultimando gli studi in Marketing e Comunicazione. Assiema hanno fondato Rifò, un startup che ha come obbiettivo quello di creare un modello sostenibile e circolare, a Km0, all’interno dell’industria della moda.

Clarissa, da dove nasce l’idea di fondare Rifò e quale obbiettivo si propone?

«Rifò nasce dalla recente esperienza di lavoro in Vietnam di Niccolò, dove ha potuto vedere con i suoi occhi il problema della sovrapproduzione che grava sul settore dell’abbigliamento. Le strade di Hanoi sono piene di negozi dal nome “Made in Vietnam” che vendono tutti capi di abbigliamento prodotti in Vietnam, esportati in Occidente, non venduti in Europa e rispediti in Vietnam per non abbassare i prezzi del mercato occidentale. Una volta non venduti, questi indumenti vengono direttamente gettati in discarica o in un inceneritore. Nell’industria tessile si produce molto di più di quanto venga consumato. Alla luce di queste informazioni, a Niccolò è venuto in mente di riprendere una tradizione pratese, quella del rigenerare tessuti, utilizzare tutte i vestiti che vengono buttati via per rifarci un nuovo filato.»

Lo ammetto so di non sapere! Mi puoi spiegare la differenza tra jeans riciclati e regenerati?

«Certo! Un jeans riciclato significa un vecchio jeans che riuso o riparo per indossarlo ancora, ad esempio i jeans vintage che di solito compriamo alle bancarelle. Un jeans rigenerato invece significa che viene trasformato di nuovo in fibra e poi in un filato, si parte da un rifiuto, uno scarto, per dare nuova vita alla fibra. Sostanzialmente, jeans riciclato il prodotto non cambia, jeans rigenerato il prodotto rinasce da zero e può essere trasformato in un altro prodotto come nel nostro caso dei maglioncini di jeans.»

Con questo procedimento quanta acqua si risparmia?

«Tantissima, è un processo meccanico che come consumo di risorse naturali ha solo quello di energia e poi la fibra non viene tinta, da classici jeans scuri si ricava un maglioncino scuro che ha sempre delle piccole imperfezioni di colori che lo rendono unico. Con i nostri collaboratori abbiamo calcolato che per creare un maglione in denim si utilizzano solo 80 litri di acqua contro i 3000 litri normalmente richiesti da un maglioncino in cotone vergine (considerando anche la coltivazione della pianta di cotone).»

Obiettivi futuri?

«Ci piacerebbe rafforzare il sistema di raccolta, creando insieme a altri partner un sistema di produzione completamente circolare e collaborativo dove tutte le persone possono contribuire al processo donandoci i loro vecchi capi.»

Clarissa e Nicolò un messaggio che desiderate lasciare ai giovani che desiderano intraprendere una carriera nel settore tessile?

«Tutte le volte che andiamo a Pitti Uomo a gennaio ci fa un certo effetto vedere quanti brand di moda ci sono e quanti di questi non conosciamo. E’ un settore molto competitivo e sicuramente bisogna avere un’idea molto chiara della propria nicchia da cui partire altrimenti come mercato è già molto saturo.»

Grazie Clarissa e Nicolò! 

Gloria Chiocci